Descrizione
Negli anni immediatamente successivi la prima guerra mondiale e per evitare un radicale impoverimento della propria gente, con lungimiranza e straordinaria coesione sociale, la comunità si avviò a quel grande evento che fu la divisione della Tenuta Savoia, un latifondo dei marchesi Birago, con la conseguente distribuzione della terra ai braccianti e ai nullatenenti di Vische che divennero finalmente contadini, contadini proprietari della loro terra, grazie alla garanzia economica fornita dalla loro Cassa, la principale «attrice» di questo atto «rivoluzionario», pacifico e forse unico in Italia, che coinvolse la maggior parte di un latifondo feudale complessivo di oltre 310 ettari di terreno.
Altra causa determinante fu la fine della dinastia dei marchesi Birago con la morte, avvenuta a 38 anni, dell’ultimo discendente, Carlo Emanuele, nel 1895. Tralasciando le liti tra i vari congiunti e il ramo torinese dei Birago, si arrivò alla sentenza della Corte d’Appello del 1913, che assegnava la tenuta Savoia con la cascina Luisina all’Opera Pia Cottolengo di Torino, fusa dal 1899 con l’Ospedale Amedeo di Savoia.
A Vische, con il ritorno dei reduci, l’estrema povertà stava ipotecando il futuro delle famiglie nullafacenti. Ai loro occhi, i terreni incolti del feudo, la terra che da generazioni avevano coltivato per l’aristocrazia in cambio di un tozzo di pane, poteva cadere nelle mani di qualche speculatore esterno. I sacerdoti vischesi e alcuni maggiorenti del paese, preoccupati di questa prospettiva, iniziarono a coltivare l’idea di rivendicare quei terreni «ove tanti vischesi da tanto tempo avevano versato il sudore lavorando con poco profitto ed ingrossando sempre di più quella proprietà che era divenuta la maggior parte del territorio di Vische» (6).
Il commendator Giovanni Zaccone, esponente del Partito Popolare, Consigliere comunale di Torino e direttore della Federazione Agricola torinese, ritenne possibile un frazionamento della tenuta con un’opera collettiva, nella speranza dell’appoggio del Governo che aveva promesso, dopo la rotta di Caporetto, la terra ai contadini. Proprio con questo slogan si presentò a Vische il 13 aprile 1919. Si costituì un comitato con rappresentanti di tutte le organizzazioni sociali e sette rappresentanti dei nullatenenti e piccoli proprietari.
Ma le richieste di terra raggiunsero il doppio di quella a disposizione, allora il Comitato stabilì dei criteri: in primo luogo bisognava essere nati a Vische, poi ai naturalizzati vischesi che pagavano a Vische le imposte, poi chi esercitava altri mestieri, ma tra i più bisognosi, e in ultimo i vischesi non agricoltori. Non esclusi, ma ultimi in graduatoria, coloro che avessero venduto terreni nel biennio 1918-19.
Mentre la cascina Savoia, che poteva ospitare 18 famiglie, sarebbe stata assegnata a chi non aveva una propria abitazione, con sei o sette giornate di terreno per ciascuna. Il 25 maggio venne fondato con atto notarile il Consorzio, sottoscritto da circa 300 capifamiglia, e delegando Giovanni Zaccone a trattare con il Municipio di Torino – ente che amministrava l’Ospedale Amedeo di Savoia, che stava mettendo in vendita la tenuta.
I Vischesi promossero un ricorso al sindaco di Torino, il senatore Secondo Frola, in cui si fornivano le motivazioni del fatto che a Vische spettava il diritto di precedenza nell’acquisto, con la triste prospettiva che se la tenuta fosse andata ad altri senza essere assegnata ai contadini, «la maggior parte dei membri validi al lavoro delle 279 famiglie, dovrebbero forzatamente emigrare in cerca di pane.
Così tanti giovani e padri di famiglia (impotenti ad acquistare da un terzo, speculatore) pur avendo servito la madre patria per quattro anni, dovrebbero ricorrere nuovamente al pane straniero» (7).
Così il Consorzio voleva ripartire le terre: ai nullatenenti assoluti in numero di 17, 17 abitazioni con 7 giornate ciascuna. Ai nullatenenti con casa propria 6 giornate ciascuno. Ai piccoli proprietari con casa ma con meno di 2 giornate (75 famiglie), sarebbero andate 4 giornate di terreno per ciascuna. Ai piccoli proprietari con casa ma con meno di 4 giornate (83 famiglie), sarebbero andate 2 giornate di terreno per ciascuno. Infine, 94 giornate di terreno restante sarebbero andate una per ciascuno ai 94 piccoli proprietari con casa e con meno di 6 giornate.
Il piano era la risposta alla fame che sarebbe calata su Vische l’anno successivo se la speculazione privata avesse messo mano sui terreni, e di fatto, levato la terra da lavorare ai braccianti. Questa istanza ebbe l’effetto di provocare un incontro tra il sindaco di Torino e il Prefetto Taddei, che aveva ricevuto il professor Osella, delegato della Federazione Italiana Piccoli Proprietati. Così il Prefetto emanò un decreto che garantiva la vendita esclusivamente alla popolazione di Vische. La reazione in paese fu di festa collettiva: campane a martello propagarono la notizia tra i campi e la popolazione si radunò in piazza con la Filarmonica e le bandiere dell’associazionismo. Così il professor Osella tenne un comizio e il Pievano garantì l’equa distribuzione. Il caso divenne un esempio di livello nazionale di piena legalità su come ottenere le terre senza occupazioni violente e al prezzo di mercato, e ciò venne rimarcato da quotidiani come la «Gazzetta del Popolo», «La Stampa», «Il Giornale d’Italia» e dalla «Riscossa Nazionale».
Il prezzo della vendita venne fissato per la cifra di 1.800.000 lire. Quindi venne stilato un atto di vendita e il sorteggio per garantire una equa distribuzione, tutti atti in cui la Cassa era costantemente presente: 35 soci ricorsero al mutuo ad un interesse sul capitale del 2,25% e ne entrarono altri 184 per richiedere il proprio mutuo. Subito la Cassa erogò mutui per 1.300.000 lire, e la somma mancante da versare all’Opera Pia venne recuperata dalla Cassa Rurale di Caluso con un mutuo di 650.000 lire, che venne rapidamente estinto nel 1924. Così la Cassa approvò la fidejussione bancaria insieme alla Mutua Incendi il 24 febbraio 1920. A settembre venne concluso l’acquisto, il tempo per dissodare e lavorare le nuove terre era giunto, e scongiurato il pericolo dell’emigrazione di massa per i vischesi. Non solo, a Vische la povertà degli ultimi tempi venne debellata con questa azione di alto livello meritorio.
Altra causa determinante fu la fine della dinastia dei marchesi Birago con la morte, avvenuta a 38 anni, dell’ultimo discendente, Carlo Emanuele, nel 1895. Tralasciando le liti tra i vari congiunti e il ramo torinese dei Birago, si arrivò alla sentenza della Corte d’Appello del 1913, che assegnava la tenuta Savoia con la cascina Luisina all’Opera Pia Cottolengo di Torino, fusa dal 1899 con l’Ospedale Amedeo di Savoia.
A Vische, con il ritorno dei reduci, l’estrema povertà stava ipotecando il futuro delle famiglie nullafacenti. Ai loro occhi, i terreni incolti del feudo, la terra che da generazioni avevano coltivato per l’aristocrazia in cambio di un tozzo di pane, poteva cadere nelle mani di qualche speculatore esterno. I sacerdoti vischesi e alcuni maggiorenti del paese, preoccupati di questa prospettiva, iniziarono a coltivare l’idea di rivendicare quei terreni «ove tanti vischesi da tanto tempo avevano versato il sudore lavorando con poco profitto ed ingrossando sempre di più quella proprietà che era divenuta la maggior parte del territorio di Vische» (6).
Il commendator Giovanni Zaccone, esponente del Partito Popolare, Consigliere comunale di Torino e direttore della Federazione Agricola torinese, ritenne possibile un frazionamento della tenuta con un’opera collettiva, nella speranza dell’appoggio del Governo che aveva promesso, dopo la rotta di Caporetto, la terra ai contadini. Proprio con questo slogan si presentò a Vische il 13 aprile 1919. Si costituì un comitato con rappresentanti di tutte le organizzazioni sociali e sette rappresentanti dei nullatenenti e piccoli proprietari.
Ma le richieste di terra raggiunsero il doppio di quella a disposizione, allora il Comitato stabilì dei criteri: in primo luogo bisognava essere nati a Vische, poi ai naturalizzati vischesi che pagavano a Vische le imposte, poi chi esercitava altri mestieri, ma tra i più bisognosi, e in ultimo i vischesi non agricoltori. Non esclusi, ma ultimi in graduatoria, coloro che avessero venduto terreni nel biennio 1918-19.
Mentre la cascina Savoia, che poteva ospitare 18 famiglie, sarebbe stata assegnata a chi non aveva una propria abitazione, con sei o sette giornate di terreno per ciascuna. Il 25 maggio venne fondato con atto notarile il Consorzio, sottoscritto da circa 300 capifamiglia, e delegando Giovanni Zaccone a trattare con il Municipio di Torino – ente che amministrava l’Ospedale Amedeo di Savoia, che stava mettendo in vendita la tenuta.
I Vischesi promossero un ricorso al sindaco di Torino, il senatore Secondo Frola, in cui si fornivano le motivazioni del fatto che a Vische spettava il diritto di precedenza nell’acquisto, con la triste prospettiva che se la tenuta fosse andata ad altri senza essere assegnata ai contadini, «la maggior parte dei membri validi al lavoro delle 279 famiglie, dovrebbero forzatamente emigrare in cerca di pane.
Così tanti giovani e padri di famiglia (impotenti ad acquistare da un terzo, speculatore) pur avendo servito la madre patria per quattro anni, dovrebbero ricorrere nuovamente al pane straniero» (7).
Così il Consorzio voleva ripartire le terre: ai nullatenenti assoluti in numero di 17, 17 abitazioni con 7 giornate ciascuna. Ai nullatenenti con casa propria 6 giornate ciascuno. Ai piccoli proprietari con casa ma con meno di 2 giornate (75 famiglie), sarebbero andate 4 giornate di terreno per ciascuna. Ai piccoli proprietari con casa ma con meno di 4 giornate (83 famiglie), sarebbero andate 2 giornate di terreno per ciascuno. Infine, 94 giornate di terreno restante sarebbero andate una per ciascuno ai 94 piccoli proprietari con casa e con meno di 6 giornate.
Il piano era la risposta alla fame che sarebbe calata su Vische l’anno successivo se la speculazione privata avesse messo mano sui terreni, e di fatto, levato la terra da lavorare ai braccianti. Questa istanza ebbe l’effetto di provocare un incontro tra il sindaco di Torino e il Prefetto Taddei, che aveva ricevuto il professor Osella, delegato della Federazione Italiana Piccoli Proprietati. Così il Prefetto emanò un decreto che garantiva la vendita esclusivamente alla popolazione di Vische. La reazione in paese fu di festa collettiva: campane a martello propagarono la notizia tra i campi e la popolazione si radunò in piazza con la Filarmonica e le bandiere dell’associazionismo. Così il professor Osella tenne un comizio e il Pievano garantì l’equa distribuzione. Il caso divenne un esempio di livello nazionale di piena legalità su come ottenere le terre senza occupazioni violente e al prezzo di mercato, e ciò venne rimarcato da quotidiani come la «Gazzetta del Popolo», «La Stampa», «Il Giornale d’Italia» e dalla «Riscossa Nazionale».
Il prezzo della vendita venne fissato per la cifra di 1.800.000 lire. Quindi venne stilato un atto di vendita e il sorteggio per garantire una equa distribuzione, tutti atti in cui la Cassa era costantemente presente: 35 soci ricorsero al mutuo ad un interesse sul capitale del 2,25% e ne entrarono altri 184 per richiedere il proprio mutuo. Subito la Cassa erogò mutui per 1.300.000 lire, e la somma mancante da versare all’Opera Pia venne recuperata dalla Cassa Rurale di Caluso con un mutuo di 650.000 lire, che venne rapidamente estinto nel 1924. Così la Cassa approvò la fidejussione bancaria insieme alla Mutua Incendi il 24 febbraio 1920. A settembre venne concluso l’acquisto, il tempo per dissodare e lavorare le nuove terre era giunto, e scongiurato il pericolo dell’emigrazione di massa per i vischesi. Non solo, a Vische la povertà degli ultimi tempi venne debellata con questa azione di alto livello meritorio.
Indirizzo e punti di contatto
Nome | Descrizione |
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Indirizzo | Località Cascina Luisina |
Mappa
Indirizzo: Cascina Luisina, 10, 10030 Cascina Luisina TO, Italia
Coordinate: 45°21'39,9''N 7°56'25,1''E
Indicazioni stradali (Apre il link in una nuova scheda)
Modalità di accesso
da S.P. 81